25 novembre 2011

È già caduto il cordone?

In ospedale. Tutti in coda per il controllo del neonato a una settimana dalle dimissioni. Al centro del dibattito tra mamme, lui. Il cordone ombelicale. O meglio il suo moncone.
“Il mio è già caduto. Mi sono spaventata: cos’è sto coso? Fortuna ero con mia madre”.
“Il mio no, non ancora. Ieri è stato travolto da un’ondata di cacca liquida e gialla. Non ho avuto il coraggio di cambiare la garza”.
“Si è staccato ieri. Ma l’ombelico è un rimasto nero. Non so cosa fare...”
“Anche il mio è caduto. Però l’altro ieri l’avevo disinfettato con alcool etilico. Avrà fatto male al bambino? Lo chiedo subito al medico”.
Eccole, le prime domande al pediatra, generalmente segnate su un foglietto per paura di dimenticarne qualcuna: “Quando bisogna tagliargli le unghie? Come si asciuga la testa? Perchè ha il singhiozzo? Di che colore deve essere la cacca? Ha la pancia grande...è normale? Le gambe arcuate...andranno a posto?”
No. Non è il cordone ad essere intrinsecamente ansiogeno. Nè rappresenta una grave minaccia per la salute del bambino. Non sono pericolose nemmeno le unghie lunghe, i brufoletti in faccia, la crosta lattea. Eppure la madre, generalmente solo lei, si preoccupa per qualsiasi “insignificante” dettaglio: i primi giorni come fosse in corso un allarme rosso, successivamente mantenendo alto il livello di guardia.
Due lezioni ho imparato dall’ombelico di mio figlio (che tra l’altro si è cicatrizzato dopo estenuanti quindici giorni). Primo: in questi momenti è un gran bel vantaggio avere a fianco qualcuno che ci è già passato, capace di  rassicurare senza far sentire la mamma ridicola nelle sue “esagerate” preoccupazioni. Secondo: questa “sovraeccitazione” è segno lampante che tutto procede per il verso giusto. Qualcuno l’ha definita “follia materna”. L’unica “follia” sana, prevista da Madre Natura per garantire al neonato  accudimento e disponibilità pressochè totali. L’unica “follia” al mondo indispensabile alla sopravvivenza della specie.

22 novembre 2011

Falsi miti: la tisana ai semi di finocchio

Falsi miti: la tisana ai semi di finocchio

Ho iniziato quasi per gioco. Volevo arginare l’areofagia, uno dei possibili effetti della gravidanza ahimè il meno romantico. Qualcuno mi aveva detto che la tisana ai semi di finocchio era un toccasana. Ho cominciato all’inizio del terzo mese e ho proseguito per tutta la gravidanza, aumentando gradualmente la dose: a un certo punto mio figlio deve aver vissuto, più che nel liquido amniotico, in un centrifugato di finocchio. Dopo il parto, risistematosi l’intestino, volevo smettere. Qualcuno però mi disse che era consigliato da farmacista, erborista e pediatra. A scriverlo sembra uno scioglilingua: “fa latte ma è utile pure al lattante perchè passando nel latte calma le coliche da latte. Però, mi raccomando, tu niente latticini”. Verissimo: il finocchio (come tutto il resto, d’altronde) passa nel latte. Quando mettevo a lavare il reggiseno, era come entrare in erboristeria. Le coliche del lattante però imperterrite perseveravano ed ero arrivata a pestare i semi col mortaio per avere tisane più concentrate. Eravamo entrambi, mamma e bambino, a un passo dall’overdose.
 Poi, un bel giorno, leggo un comunicato Inran: niente tisane al finocchio a bambini piccoli, donne in gravidanza e allattamento. In sintesi, dalla ricerca scientifica condotta da Inran emerge che i semi di finocchio contengono estragolo, sostanza tossica e se vogliamo dirla tutta, anche piuttosto cancerogena e genotossica.
 È anche dai forti spaventi che si esce dalle dipendenze. Coi semi di finocchio ho chiuso, con buona pace dell’erborista sotto casa. In tutta questa storia almeno un aspetto positivo c’è: non per questo ho perso il latte e ora mio figlio adora il finocchio. Anticancerogeno, come tutte le verdure.
Un metodo realmente efficace per aumentare il latte l’avevo trovato (ogni donna può scovare il suo). Quando la stanchezza era all’apice e il latte conseguentemente scarseggiava, tornavo da mia madre. Accudita, nutrita e coccolata, il latte tornava generoso. Alla faccia dei semi di finocchio.

18 novembre 2011

L'istinto materno: tutta un'altra musica

Una bella bimba, avrà tre anni, passeggia lungo il molo. Si avvicina al ciglio per ammirare le barche ormeggiate. A fine dicembre l'aria è tersa, la luce inonda di colori l'orizzonte: che meraviglia la bimba e il mare. Un minuto dopo, stessa luce. Identici colori. Un altro bimbo trotterellando si avvicina al ciglio: ha due anni e mezzo ed è mio figlio. In un lampo svanisce la poesia: “Oh mamma, mi cade giù il bambino!”.
Niente e nessuno è come tuo figlio. Lo ribadiscono le maestre di asilo; lo ammettono le più navigate puericultrici dei grandi reparti di maternità. Quando hai in braccio tuo figlio è tutta un'altra musica. L'istinto materno cambia registro e batte forte, a tratti si fa assordante. Basta ascoltarlo e lasciarsi guidare; può rivoluzionare la vita della neo mamma oppure semplicemente integrarla arricchendola. L'istinto materno è ancora in grado di insegnare, in modo piuttosto indolore e in tempi relativamente brevi, ad essere “madri sufficientemente buone”, parafrasando Winnicot, in barba ai cento metodi e ai mille manuali.
L'istinto materno ci sintonizza sull'ascolto reale dei reali bisogni del nostro bambino. In barba ai pregiudizi, ai cento conformismi, ai mille luoghi comuni.