13 gennaio 2012

Finchè c’è latte, c’è speranza



A. è un bambino simpatico e carino. Ha quasi tre anni e prima di andare a nanna beve un po’ di latte della mamma. “Mi piacerebbe che smettesse quando è pronto, che fosse lui a decidere. Senza forzature”, mi racconta la mamma di A. che prosegue: “Quando A. era in pancia e pensavo all’allattamento non avevo idea di come sarebbe iniziato, figurarsi di quando sarebbe stato il momento di smettere. Arrivare ai famosi sei mesi con il solo mio latte mi pareva un traguardo lontanissimo. Consideravo un record stravagante l’esperienza di mia cognata, che aveva allattato circa 26 mesi ciascuno dei suoi tre bambini e che mi diceva che quando allattava si sentiva in gran forma. Invece io ho fatto fatica, soprattutto per i risvegli notturni. Ma senza sapere come, eccomi qui. Passavano i mesi e la gestione dell’allattamento si semplificava. E mi dicevo: ma si, vediamo quando compierà un anno. Poi due anni. Ora siamo qui, a godere di un’esperienza faticosa e bellissima, in fondo metafora della maternità. Anch’essa faticosa e bellissima”.
A. è cresciuto tra camion e costruzioni. Oggi per la prima volta ha in mano una barbie, tra l’altro nuda: “Mamma come si tolgono le mutande, così fa la pipì?”. Bene, il pupo conosce l’ABC delle funzioni fisiologiche. Poi avvicina la barbie alle labbrucce e si attacca prima a un seno, poi all’altro. Non esce niente. Si gira da un’altra parte: la bella plasticona non gli interessa. Ridiamo a crepapelle.
La sua mamma: “Finalmente un uomo, seppur immaturo, che riconosce qual’è la prima e la più importante funzione della ghiandola mammaria”.
Non resisto a commentare anch’io: “Dopo secoli bui, il genere umano ricomincia a fare passi avanti”.